La IL Biennale di Venezia

di Elisabetta Coppola


PASSEGGIATA AI GIARDINI
Il titolo della 49° Biennale d'Arte di Venezia è "Platea dell'umanità". Le aspettative, quando si visita una mostra internazionale, sono sempre tante e quindi mi sono mossa tra i Giardini e l'Arsenale con la disposizione d'animo di chi cerca qualcosa che ancora alteri lo spirito, colpisca alla testa, dia emozioni importanti, faccia pensare e coinvolga, faccia sentire protagonista e diverta, perché no. Insomma, quelle sensazioni che l'arte, credo, debba sempre trasmettere. Quando si entra nel concreto, come capita spesso, ci si rende conto che su cento artisti in mostra, se ne possono trovare forse dieci che provocano almeno uno degli effetti descritti sopra e in particolare di quanti artisti, non presenti a questa manifestazione, invece li provocano. L'importante è, comunque, trovare ancora la voglia di comunicare attraverso il linguaggio dell'arte con risultati più o meno riusciti ma apprezzabili (almeno per l'impegno).
Tra i padiglioni dedicati alle nazioni partecipanti, senz'altro meritano un occhio di riguardo quelli di Italia, Brasile, Corea, Venezuela e dell'Uruguay. Gli artisti presentati hanno in comune un uso della tecnica espressiva non fine a se stessa, ma idonea a "raccontare" un'idea forte, un percorso mentale e la capacità di farci percepire l'arte con tutti i nostri cinque sensi.
Uno di questi è Ernesto Neto, brasiliano, che spera "in un'arte meno perversa e più sensuale, un'arte che da sola ci riunisca verso una sorta di luogo spirituale dove si possa respirare un'idea di infinito". Neto, inoltre, vuole "un'arte che unisca gli uni agli altri". Sembrerebbe troppo idealista il caro Ernesto, ma se non sono idealisti gli artisti chi può esserlo? Vedere (e annusare) per credere.
Sempre nel padiglione brasiliano c'è Vik Muniz. L'artista compone grandi immagini ben riconoscibili, impiegando le tacche di colore di stampa utilizzate dai grafici e dai tipografi (pantone). Effetto visivo coinvolgente e sensuale, dato dalle sfumature di colore in gradazione, che avvicinate, una dopo l'altra, ricompongono l'immagine con la sensazione che la singola tacca già conteneva parte di quell'immagine. Nel particolare c'è l'universale.
Il padiglione coreano esibisce gli artisti Do-Ho Suh e Michael Joo, il primo presente anche nel padiglione Italia e nei giardini, all'esterno. Per Suh si può parlare di un ritmo visivo ossessivo, che trasforma un piccolo oggetto in una texture spaziale dai forti contenuti espressivi. In Joo sono invece i grandi "oggetti" naturali frammentati e riassemblati, come un disegno "in esploso" ad occupare lo spazio del bel padiglione coreano.
Quello venezuelano, invece, presenta già all'esterno (sugli alberi) l'opera di Victor Hugo Irazábal, artista primitivo e fanciullesco che ci parla di ecosistema e biomassa vegetale. Trasformazioni, riutilizzi, origini e integrazioni con l'ambiente.
Al padiglione Italia ci aspetta la grande varietà di linguaggi delle opere in esso contenute, rilevata quasi subito dalla "Piattaforma del pensiero", una "raccolta" di opere, poste su un grande piano inclinato, di artisti africani, sculture naïves, statue indiane e cinesi, maschere e tute da palombaro . e due opere di Rodin.
Gustose le opere di Peter Wanjau (piccole sculture fumettate e ironiche) e, nonostante l'asetticità, anche l'opera a "parole" su fondo verde di Pierre Bismuth (sia per il senso delle parole, sia per l'impaginazione grafica). Quasi all'ingresso l'opera di Minette Vári. La noti perché si muove: sono due piccoli video incastonati nel muro, dove lo stemma del paese dell'artista è in continuo dissolversi e ricomporsi, formando nuove immagini.
Addentrandosi nel padiglione, si incontrano il lavoro pittorico di Federico Herrero, picassiano alla Guernica (ci invita a scoprire cosa si nasconde nei suoi incastri tutti su una sola parte della tela), le opere di Manuel Ocampo (allegoria pittorico/politica), di Richard Tuttle (semplici compensati colorati che evocano geometrie naturali e leggere), di Marko Leanka (monumenti noti trasformati in arte "rurale"), di Keith Tyson (una serie di enormi, colorati, appunti di un lavoro forse inesistente), di Eulalia Valldosera (una stanza trasformata in "planetario" in cui vengono proiettati sulle pareti oggetti quotidiani). di Maaria Wirkkala (su una pietra nera è proiettato il corpo di spalle di chi passa, ripreso da una telecamera e quindi in continuo movimento). L'artista è presente anche all'Arsenale con un arca di Noè fatta di animaletti giocattolo di plastica, posti su un lungo tavolo con la Bibbia e il Corano e ai lati.
Bel lavoro quello di Loris Cecchini, anche tecnicamente. Una cella carceraria ricostruita in materiale plastico che simula verosimilmente il cemento e il metallo ma tutto in plastica bianca tenera. La cella, chiusa, si muove grazie ad un sistema di ventilazione, dall'interno, mutando la sua forma in continuazione.
Questi artisti puntano l'obiettivo sul coinvolgimento mentale e visivo/tattile, ognuno in modo diverso, passando dalla tecnologia al tradizionale e viceversa.
Uscendo dai Giardini, e seguendo il percorso indicato, si giunge all'Arsenale in circa dieci minuti ma se avete già male ai piedi o allo stomaco (siete per caso passati dal bar?!) c'è un vaporetto che con lire 6000 vi porta fino là.
La maggior parte delle opere presenti in questo spazio (formato da Corderie, Artiglierie, Isolotto, Tese e Giardino delle Vergini e Gaggiandre, ambienti affascinanti e inquietanti allo stesso tempo) sono video e grandi fotografie illuminate sul retro. In molti casi, senza nulla togliere alla di alcuni come Hugo Ibarra Palma, James David Tischler, Arnold Odermatt, Lars Siltberg, Gustavo Artigas, in molti casi si ha la sensazione (soprattutto per certi video) di fare i "voyeurs", un po' troppo, un po' troppo di moda.
All'Arsenale trovo i bei lavori di Maurizio Cattelan e Richard Serra. All'opera di Cattelan non ci si può avvicinare, ma verrebbe tanto la voglia di farlo. si è trattenuti senz'altro dal forte odore di carburante proveniente dagli enormi serbatoi presenti nello spazio espositivo. L'opera coinvolge molto probabilmente per il soggetto (il papa, ricostruito in modo umanamente fedele, accasciato a terra su una moquette rossa, colpito da un masso nero). Al contrario, nell'opera di Serra si deve entrare: un'enorme scultura a spirale, come un gigantesco foglio di lamiera arrotolato, da percorrere in modo circolare,un percorso a volte claustrofobico perché le pareti inclinate della spirale si avvicinano al tuo corpo, fino ad arrivare al centro. Qui non trovi niente ma senti il peso della materia che ti circonda, il silenzio, la solitudine, la riflessione.
Quelli descritti sono gli artisti che ho trovato appassionanti, per i quali è valsa la pena di visitare l'esposizione. Forse non sono tanti, considerando il numero dei presenti. Ma si sa, gli artisti che "danno da mangiare" sono pochi, sempre.

Perché dovreste visitare la Biennale? Perché l'arte deve sempre far parte della nostra vita per comprenderla meglio, per riflettere, per divertirsi, per capire che è possibile esprimersi in modi personali e diversi, nonostante il nostro quotidiano possa apparire scontato e omologato. Platone affermava che gli artisti sono pericolosi. Forse alcuni di quelli presenti alla 49° Biennale di Venezia lo sono. Cosa vuol dire essere pericolosi oggi? Ditelo voi. La Biennale è aperta fino al 4 novembre. Fateci un giro!

Elisabetta Coppola


WOP!WEB Servizi per siti web... GRATIS!