La recensione di Rita Maccagnani

LA SAGA DI HARRY POTTER


L’autorevole critico letterario Harold Bloom, dopo aver letto il primo libro della serie, Harry Potter e la pietra filosofale, l’ha bollato sullo Wall Street Journal come banale, mal scritto, inutile in quanto incapace di arricchire la mente, lo spirito e la personalità del lettore.

Anche Antonio Faeti, esperto del genere fantasy, non c’è andato leggero; ha infatti definito Harry Potter un surrogato, un’ “Ikea dell’immaginario”.

Bella coniazione, non vi pare? Piena di competenza retorica e acume critico. Ma la mia autentica ammirazione per la versatilità espressiva del signore in questione non va oltre tale aspetto, perché nella sostanza del giudizio non potremmo essere più distanti.

Chi sono io per mettere in discussione così illustri pareri? Semplicemente una di quelle lettrici e di quei lettori che hanno decretato, al di là di ogni invidia e assurdità (pensate che c’è addirittura chi vorrebbe la messa al bando dei libri in oggetto perché li considera troppo violenti e pensa che istighino alla magia nera e al satanismo! Ce ne sono di persone strane!) il successo dei libri dell’ex insegnante trentacinquenne inglese Joanne Kathleen Rowling, che ormai si annoverano tra i maggiori best-seller mondiali di tutti i tempi.

Prima di tutto, non si tratta affatto di libri per bambini. Lo affermo per almeno due motivi: la stessa autrice non avrebbe voluto far leggere i suoi romanzi alla sua bambina prima che avesse compiuto i sette anni, anche se poi le circostanze hanno aticipato i tempi; in secondo luogo io sono, ahimè, lontana dall’infanzia: ho quarantadue anni e insegno italiano e latino in un liceo.

Dunque, cosa mi piace in Harry Potter? La possibilità, che solo la fantasia può dare, di modificare, anche se per poco, nella dimensione parallela della lettura, la realtà che – ammettiamolo francamente – spesso è quanto meno deludente se non addirittura deprimente. Mi piace Harry Potter perché vorrei, come lui, possedere un po’ di magia; perché mi piacerebbe seguirlo ad Hogwarts, la prestigiosissima scuola di stregoneria che, a quanto mi sembra di aver capito leggendo i nomi di alcune località incontrate durante uno dei viaggi compiuti dal protagonista per raggiungere l’esclusivo college, si trova in Scozia, un paese meraviglioso che io adoro; perché mi piace immaginarmi a vestire i panni della vicepreside della scuola, Minerva McGrannit, severa e capace insegnante di Trasfigurazione, mentre assiste alla cerimonia del cappello magico che, all’inizio del corso, assegna ogni studente, di cui coglie propensioni e inclinazioni, ad una delle quattro case della scuola, Grifondoro, Tassorosso, Corvonero e Serpeverde, intitolate ai maghi fondatori; perché mi piacerebbe avere per preside il potente e saggio mago Albus Silente; perché vorrei possedere anch’io un mantello dell’ invisibilità e dei poteri per dare una lezione a quel malevolo sbruffone di Draco Malfoy, uno studente di Serpeverde, e agli odiosissimi parenti babbani (non maghi) di Harry, i Dursley, che hanno cercato in ogni modo di nascondergli le sue origini e reprimere la sua natura; perché vorrei combattere, al fianco di questo ragazzino coraggioso, il perfido Lord Voldemort, Colui-che-non-deve-essere-nominato, simbolo del male assoluto, che ha ucciso i genitori di Harry quando lui era ancora in fasce e tuttavia è stato quasi annientato nel tentativo di eliminare il neonato sulla cui fronte una strana cicatrice ricorda la drammaticità di quel giorno. E poi… perché mi piace intrufolarmi nelle aule e assistere a una lezione di Difesa contro le arti oscure e spingermi fino alla casa di Hagrid, il gigante guardacaccia dal cuore tenero, per dare un’occhiata alle sue creature magiche; perché, anche se non sono una sportiva, trovo eccitanti le partite di Quidditch in cui i giocatori, divisi in due squadre, cercano di conseguire la vittoria sui loro manici di scopa; perché vorrei trascorrere almeno un week-end con la caotica e simpaticissima famiglia di Ron Weasly, il miglior amico di Harry e avere una studentessa modello come Hermione; perché mi piacerebbe tanto scoprire se il Professor Piton è proprio malvagio e infido come sembra; perché provo simpatia per l’autrice che, in un momento difficile, lasciata dal marito con una bambina di pochi mesi, disoccupata, mentre la sua piccola dormiva, in un bar di Edimburgo scriveva, scriveva… e oggi è quella che è: una affascinante scrittrice, una donna di successo.

Se poi mi voglio arricchire l’animo con pensieri profondi, Leopardi (che tra l’altro non disprezzava per niente folletti e gnomi) o Pascoli (col suo Fanciullino) sono lì che mi aspettano.

Vorrei dunque suggerire a coloro che considerano con ironia quelle che considerano sciocchezze da bambini di riflettere sulla seguente frase di Axel Munthe: “Sono molto meravigliato di sapere che c’è gente che non ha mai visto uno gnomo. Non posso fare a meno di provare compassione per costoro. Qualcosa non va. Certamente la loro vista non funziona bene.”




UNA FANATICA AMMIRATRICE
Rita Maccagnani
8 Luglio 2001


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